L’idea
originaria di Parco Nazionale e la sua evoluzione: le finalità di un parco tra
conservazione, funzione ricreativa e sviluppo delle comunità locali *
pino loricato - foto by Indio
L’idea
di Parco Nazionale ha ai suoi albori una
connotazione nettamente protezionista.
L’espansione della civiltà capitalistica industriale di fine ‘800, con
l’aumento della popolazione e della pressione antropica sull’ambiente,
metteranno a rischio specie ritenute culturalmente ed etologicamente rilevanti,
nonostante la creazione delle prime riserve di caccia[1]. Già dal 1850 numerosi
zoologi avevano cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla decimazione
e l’estinzione di numerose specie animali. Sono gli Stati Uniti i veri precursori
del conservazionismo, che si affermerà in quegli anni con realizzazioni di
grande portata storica e sociale: già nel 1864 la vallata di Yosemite veniva dichiarata area
protetta, mentre nel 1872 viene ufficialmente istituito il primo parco nazionale: lo Yellowstone National Park, a cui
seguiranno i parchi di Mac Kinac Island (1875) di Sequoia, Yosemite e General
Grant[2]. Sebbene i parchi
nazionali nascono alla fine dell’ 800,
abbiamo esempi “arcaici” di aree
protette: in molte culture tradizionali queste aree rappresentavano luoghi
di culto che mostravano un legame spirituale con la Natura e un ponte tra
l’umano e il divino[3].
La concezione americana dei parchi nazionali era caratterizzata da due elementi
fondamentali: quello del valore scenico e panoramico e l’uso
turistico ricreativo. Tale concezione com’è stato rilevato, in America è
ancora attuale. Per molti anni “gli intendimenti della conservazione avranno
come oggetto le bellezze naturali e quindi la preservazione di grandi
ambiti di eccezionale valore estetico dalle alterazioni umane, ma soprattutto è
da notare come essi siano già dal principio finalizzati al ‘beneficio e
godimento del popolo’ ”[4].
Nonostante
l’evoluzione dell’idea di parco, soprattutto in relazione all’adattamento che
essa ha avuto in contesti sociali come quello italiano ed europeo in generale, marcare l’accento verso questa finalità è
ancora oggi imprescindibile, proprio alla luce della motivazione originaria
che ne fu alla base. In effetti, se conservare la bellezza dei luoghi è
un’esigenza importante anche ai fini del godimento estetico, ricreativo,
spirituale e la preservazione degli habitat naturali, l’ipotesi da cui si parte
è che questa esigenza dovrebbe avere effetti positivi anche sull’esperienza del
turista moderno (o meglio su certi target di turisti) e la qualità della sua
“immersione nella natura”. Ne discende che la finalità prioritaria della
conservazione, che portò all’istituzione delle aree protette è estremamente
attuale e sfida la le trasformazioni della società tardo-moderna. Essa rimanda
in qualche modo a quell’imprescindibile “valore in sé” della natura selvaggia,
che fu all’origine del conservazionismo americano, ben espresso nelle idee del
preservazionista John Muir, fondatore
del Sierra Club e pioniere della creazione dei primi parchi americani: “per
Muir le aree naturali vanno preservate perché dotate di valori (scientifici
estetici, spirituali) che non possono essere misurati in termini di vantaggi
economici e utilitaristici per l’uomo. Le aree naturali non sono merce di
scambio da vendere, contrattare e sfruttare, ma luoghi da tutelare nel loro
aspetto selvaggio e incontaminato”[5]. Natura selvaggia che ha
una doppia valenza quindi, che si rifà a quel concetto di “Wilderness”
intraducibile in italiano e che rimanda sia ad una condizione geografica
che ad stato d’animo, secondo la celebre ( e anonima) definizione
apparsa su un numero dello United States Forest Service[6].
Le
“tendenze istitutive” conservazioniste e ricreative permarranno in tutta
l’evoluzione dell’idea di parco ma, soprattutto in contesti territoriali
totalmente diversi da quelli americani, ad esse se ne aggiungeranno presto
altre. Fondamentalmente il processo di
creazione dei parchi rimane legato alle fisionomie territoriali dei diversi
paesi[7]. “Nel contesto europeo il
concetto di parco e, più in generale di area protetta, si è necessariamente
precisato in relazione alle caratteristiche di un territorio densamente
popolato e diffusamente assogettato alla proprietà privata. Soprattutto a
partire dal secondo dopoguerra, alla finalità originaria della conservazione
della natura intesa prevalentemente come wilderness, si sovrappone l’obiettivo
della ricerca di un uso antropico del territorio, compatibile con la
salvaguardia dei processi ecologici, dei valori estetici e storico-culturali”[8]. L’ Italia arriva tardi nel processo di protezione pubblica della
natura: i primi parchi (Gran Paradiso, Parco d’Abruzzo, Parco Nazionale
dello Stelvio, Circeo, Calabria) “vengono solitamente definiti in letteratura
come ‘parchi storici’ e ciò a sottolineare non solo un ordine temporale ma
anche al fine di mettere in risalto l’avvio di un nuovo corso del movimento protezionista
ed una nuova stagione delle politiche pubbliche ambientali”. La data a cui fare
riferimento è quella dell’ottobre del 1980, quando si tenne il noto convegno a Camerino indetto dal
Comitato per i parchi e le riserve analoghe, dove fu elaborata quella strategia
per la conservazione che portò alla designazione di nuovi parchi nazionali[9]. In Italia le finalità dei
primi parchi saranno la tutela della fauna, del paesaggio e delle formazioni
geologiche nel caso del Gran Paradiso, ex riserva reale di caccia, mentre nel
caso dello Stelvio “occorre rammentare che esso fu ideato e istituito con
intenti e criteri certamente più vicini alle concezioni del Touring Club, che
non a quelle delle osservazioni scientifiche, e si poneva nettamente in
contrasto con i parchi scientifici di tipo svizzero, a favore della concezione
estetico-ricreativa di vaga impostazione americana”. Accanto alle impostazioni
turistiche e estetico-ricreative Giacomini ne individuava una mista, che già
negli anni ’30 considerava degna di protezione anche l’azione modificatrice
dell’uomo (tipica di Inghilterra, Germania, Giappone, Olanda ecc.)[10]. La questione delle
finalità del parco chiama in causa direttamente le questioni della sua definizione,
anche a partire dalla richiamata evoluzione che il concetto ha attraversato.
Giacomini e Romani in Uomini e Parchi richiamavano sostanzialmente la
questione di allargamento del parco ai territori
antropizzati e lo sviluppo socioeconomico delle popolazioni locali,
prefigurando il parco più come modo d’amministrare[11] che come area naturale
sottoposta a vincolo, vista la peculiarità dei paesi europei di contenere
territori permeati dall’uomo dove ogni azione di conservazione non può
prescindere dalla considerazione dell’elemento umano[12]. E’ questa
un’acquisizione importante, perché al di là della questione dei problemi e
delle contraddizioni che può presentare una promozione dello sviluppo grazie al
parco, ogni serio protezionista deve
evidentemente tenere conto delle esigenze e dei problemi delle comunità locali
che vivono nelle valli montane. Più che la conformazione di un’area
geografica quindi, il parco assumeva
la connotazione di un’istituzione volta a conservare i valori naturali con
l’uomo e per l’uomo, distinguendolo dal concetto di “riserva” e
rifiutando di inibire l’utilizzazione del territorio: il parco diventava perciò
un modello di convivenza compatibile fra ecosistema naturale ed ecosistema
umano[13]. Il concetto che prendeva
corpo, almeno in questo libro pionieristico, era quello di una tutela
che prendesse piede dalla valorizzazione: “si propone una politica
diversa, la quale promuove lo sviluppo al pari della tutela, insistendo su
quello come espressione costruttiva di questa”. Una finalizzazione che “delinea
l’istituto stesso [del parco] come un’operazione non priva di ambizioni
economiche in senso produttivo, specialmente nel voler tendere ad una
condizione di autosufficienza finanziaria, generatrice a sua volta di
occupazione e di economie indotte”. Questo modello del parco generatore di reddito
e occupazione inoltre avrebbe potuto “eliminare all’origine eventuali problemi
di indennizzo e compensazione”[14]. Questa accezione di
parco in lavori successivi, assume
esplicitamente la connotazione di “modello
di sviluppo sostenibile” e di “laboratorio di sviluppo”: “tutto questo a
partire da un parco? Sì, perché un parco si pone come reale e concreto modello
di sviluppo sostenibile, che inoltre, in esso assume una doppia lettura:
sostenibile per gli ambienti naturali e per le popolazioni residenti”[15]. Guardare al parco come
strumento di sviluppo non è comunque
privo di rischi e ambiguità, come sottolineava giustamente il sociologo
dell’ambiente Fulvio Beato: “ si deve tuttavia osservare che il dibattito
italiano conferisce questa valenza strategica al rapporto tra parchi ed
economia […] anche se si può registrare un ‘uso
politico’ della tematica nel senso che essa ha costituito talvolta la porta
d’accesso alle aree protette per i partiti politici”. In sé questo ingresso
della politica nel tema della conservazione non era negativo, ma solo se, come
sottolineava l’autore, non avesse comportato
“uno scadimento dei grandi ideali ambientalisti ed una gestione
particolaristica delle aree naturali protette”.[16] Secondo tesi che qui si
sostiene, è comunque da tenere ben salda, contro i rischi che comporta un uso
del concetto di parco che svii o ponga in secondo piano la finalità storica
della conservazione, l’autorevole definizione di parco che ne ha dato la IUCN (International Union
for Conservation of Nature): “area naturale terrestre o marina, designata per:
(a) proteggere l’integrità ecologica di uno o più ecosistemi per le presenti e
future generazioni, (b) escludere sfruttamento o occupazione incompatibili con
le esigenze di tutela (c) fornire i presupposti per attività scientifiche,
educative, spirituali e ricreative purché ecologicamente e culturalmente
compatibili”[17]. L’obiettivo dello sviluppo economico attraverso il turismo è
inserito nell’ordine dei restanti obiettivi: obiettivo importante anch’esso
ma diremmo quasi indiretto, nel suo porsi come ridimensionato rispetto alla
tutela della natura[18]. Del resto era la stessa legge
394 che affermava decisamente la priorità conservazionista nella
definizione di un parco nazionale: “i Parchi nazionali sono costituiti da
aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi
intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più
formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo
internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici,
culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l'intervento dello Stato
ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future”[19]. Le finalità sono precisamente enucleate nella stessa legge,
e anche qui le attività economiche sostenibili non assumono un aspetto
prioritario: “ a) conservazione
di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di
singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche,
di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri
idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici; b) applicazione
di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una
integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori
antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività
agro-silvo-pastorali e tradizionali; c) promozione di attività di educazione,
di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di
attività ricreative compatibili; d) difesa e ricostruzione degli equilibri
idraulici e idrogeologici. 4. I territori sottoposti al regime di tutela e di
gestione di cui al comma 3 costituiscono le aree naturali protette. In dette
aree possono essere promosse la valorizzazione e la sperimentazione di attività
produttive compatibili”[20].
La disamina delle questioni relative alla definizione
e alle finalità di un parco nazionale e il relativo dibattito che ne è
scaturito evidentemente chiariscono come il parco sia prima di tutto un concetto
umano, più che una porzione di spazio delimitabile secondo parametri
oggettivi. Il parco nazionale a bene vedere è un concetto poi tipicamente moderno,
perché è con la modernità che alcuni gruppi sociali hanno individuato
l’esigenza di conservare alcune porzioni di territorio per strapparle ad un
destino di sfruttamento ed urbanizzazione. Siamo nel campo di quella modernizzazione
riflessiva teorizzata da Urlich Beck: dove la riflessività è il processo
attraverso il quale la modernità giunge ad esaminare criticamente se stessa,
fatto che non consiste in un ripudio della modernità ma piuttosto in una
disponibilità della società a confrontarsi con se stessa[21]. Principalmente tramite
l’azione di alcuni gruppi sociali (e quando parlo di gruppi sociali mi
riferisco più che altro al movimento ambientalista) è la stessa società che di
fronte ai pericoli di catastrofi ambientali ha voluto porre un argine tramite
azioni attive di conservazione. Da un punto di vista strettamente sociologico
ne deriva che, come osservava in maniera lungimirante Beato, il parco è
innanzitutto uno spazio sociale: “un’area protetta da chi è protetta?
Utilizzando una formula di massima sintesi si può asserire che essa è protetta
da possibili azioni umano-sociali negative. Si tratta di una dinamica
autoriflessiva: la società regola se stessa attraverso lo Stato al fine di
regolare le proprie relazioni con la natura. Uno spazio protetto allora, pur
nella sua prorompente naturalità, è innanzitutto uno spazio sociale”[22]. La raccomandazione di
Beato era di non vedere questa socialità solo nei processi fondativi
istituzionali, ma anche nei modelli di fruizione sociale e nelle finalità che
ad esso si assegnano. Del resto l’esposizione
di diverse concezioni delle finalità che un parco dovrebbe avere dimostrano
pienamente questo assunto. E’ necessario allora, per Beato, non limitarsi
al ruolo dello Stato e del diritto, in un contesto analitico di pura
giurisdizione, ma anche alle “strutture
e le culture della società con i suoi attori e le sue organizzazioni”. Questa considerazione rimanda ad evidenti
implicazioni analitiche: “pare quindi più consono e scientificamente aderente
ai tratti caratterizzanti un oggetto come quello degli spazi protetti un
modello analitico che denomineremo delle dimensioni sociali, o della
sociologia delle politiche pubbliche ambientali”[23]. E’ una conclusione che
mi sento di condividere pienamente e che conduce inevitabilmente ad
approfondire il dibattito su finalità, obiettivi e prospettive dell’istituzione
del Parco Nazionale. Sono chiamati ad intervenire funzionari ed esperti, le
associazioni, le comunità locali, i fruitori delle aree protette e in generale
l’intera “società civile”…
Saverio De Marco
*(tratto e riadattato da: “Turismo naturalistico e conservazione della natura. Il caso studio del PNALM”, tesi di Master in: Gestione dello sviluppo locale nei parchi e nelle aree naturali - Geslopan, Università di Teramo)
[1] Giuntarelli, Parchi,
politiche ambientali e globalizzazione 2008, p.14
[2] Giacomini-Romani, Uomini
e parchi 2007, p. 15
[3] Giuntarelli, Parchi,
politiche ambientali e globalizzazione 2008, p.12
[4] Giacomini-Romani, Uomini
e parchi 2007, p. 16
[5] Schroeder-Benso, Pensare
ambientalista 2000, p. 159
[6] Braschi, Sui
sentieri del Pollino 1993, p. 17
[7] Giacomini-Romani, Uomini
e parchi 2007, p. 16
[8] Rota-Rusconi, I
Codici tecnici - Ambiente 2007, p. 172
[9] Fulvio Beato, Parchi
e società. Turismo sostenibile e sistemi locali 2000, p. 42 - 45
[10] Ibid. p. 19
[11] Giacomini-Romani, Uomini
e parchi 2007, p.55
[12]
Ibid. p 47
[13]
Ibid. p. 64 - 69
[14] Ibid. p. 71-72
[15] Giuntarelli, Parchi,
politiche ambientali e globalizzazione 2008, p.14
[16] Fulvio Beato, Parchi
e società. Turismo sostenibile e sistemi locali 2000, p. 23
[17]
State of the world’s protected areas, IUCN, 2003
[18] Category II, National Park -
www.iucn.org
[19] Classificazione
delle aree naturali protette - www.minambiente.it
[20] Legislazione - www.ambientediritto.it
[21] Lupton, Il rischio.
Percezioni, simboli, culture 2003, p.
73
[22] Beato, Parchi e
società. Turismo sostenibile e sistemi locali 2000, p. 40
[23] Ibid. p. 40-41
Commenti
Posta un commento