Nei giorni scorsi la guida del Parco Giuseppe Cosenza aveva segnalato il ritrovamento di incisioni sulla corteccia nei faggi di Cozzo Ferriero, faggeta dichiarata patrimonio Unesco. Fin da subito gli escursionisti e naturalisti che amano il Parco, commentando le foto su Facebook hanno notato che quelle incisioni non potevano essere l'opera di un pazzo, perchè erano state fatte con sistematicità. L'ipotesi era quindi che fossero state fatte da alcuni ricercatori. Si apprende da "La Siritide" (http://www.lasiritide.it/art.php?articolo=14339) tramite il funzionario dott. Schettino, che tali incisioni che hanno sfregiato quei bellissimi faggi secolari sono effettivamente il risultato di studi scientifici. Appreso questo ci dovremo tranquillizzare? Altrochè, tutt'altro. Anzi, corre l'obbligo di aprire una riflessione su questa vicenda e più in generale sul rapporto tra scienza e tutela della natura. Se uno sfregio sull'albero col coltello lo fa un turista si grida all'inciviltà; se lo fa un ricercatore si invoca il "bene della scienza". Nessuno dice che gli studi non debbano farsi, ci mancherebbe; ma anche la ricerca deve porsi dei limiti. Gli ambienti naturali hanno anche valori in termini estetici, paesaggistici, direi persino "spirituali"... e la ricerca scientifica non può ignorarli, trattando degli alberi monumentali come "materia" bruta utile solo per il suo "valore scientifico". La vicenda ricorda molto quella del bellissimo pino loricato monumentale abbattuto dal vento a Serra delle Ciavole e fatto a fettine dai ricercatori per ricavarne delle misere rondelle da esporre nell'ecomuseo del Parco. Oppure, sempre per citare un caso recente, mi viene in mente la vicenda dell'Uomo di Altamura, il cranio di neanderthal che è ormai un tutt'uno con la grotta (a causa delle concrezioni calcaree), e che alcuni ricercatori vorrebbero rimuovere... sempre "in nome della Scienza". Siamo di fronte a quella riduzione dell' "essente" , in questo caso degli alberi monumentali, a puro "oggetto", calcolabile, misurabile, impiegabile. Ma senza scomodare Heidegger e la filosofia (il cui studio farebbe bene a tanti ricercatori), per ritornare ad un discorso più pratico si può dire che anche la ricerca scientifica debba considerare un'etica del limite. Sfregiare dei faggi di così rara bellezza solo perchè vanno numerati, significa non avere sensibilità per ciò che essi rappresentano. Se esistono dei protocolli che impongono questi metodi allora sono sbagliati e vanno cambiati. Si studiassero altri metodi per numerare gli alberi (ad esempio, sarebbero più ecologiche delle minuscole targhette verdi, come quelle usate per i pini loricati monumentali). Quando la ricerca rischia di fare dei danni, ci si ferma. Tutti gli ambientalisti, guide in generale gli appassionati del Pollino sono contenti per il riconoscimento Unesco delle faggete vetuste del Pollino. Ma se questo riconoscimento comporta che dei ricercatori vadano in giro ad incidere gli alberi sfregiandone la bellezza, allora la tentazione è quella di rimpiangere i tempi in cui queste faggete nessuno le conosceva e le studiava...
Saverio De Marco
Consigliere Nazionale Associazione Italiana Wilderness
Guida Ambientale Escursionistica (AIGAE)
(foto di Giuseppe Cosenza)
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