ESTATE
2017 – ASSALTO AL GRAN SASSO
Un
motivo di riflessione sul concetto tutto italiano di Parco
Si sono lamentati in tanto per quanto è
successo in questi giorni di luglio/agosto sui pascoli di Campo Imperatore del
Gran Sasso con affollamenti impressionanti di turisti sotto tutte le forme
possibili (dai semplici escursionisti, a vere e proprie tendopoli di
campeggiatori, a piazzali di camper e roulotte, scorribande di biker
motorizzati o meno) finanche a mercatini e all’incendio che ha “devastato” (si
fa per dire) una parte dei pascoli e, soprattutto, tratti di pinete: almeno
questo ci hanno fatto vedere Internet, social network e televisioni.
Ovviamente su tutto questo ambaradan si
sono scatenati gli ambientalisti, soprattutto con attacchi feroci all’Ente
Parco Nazionale del Gran Sasso-Laga, finanche con richieste di dimissioni dei
vertici. Un “urlo” di protesta ben comprensibile, ma forse non del tutto
giustificato visto che all’origine del “male” ci siamo anche noi ambientalisti,
che per ragioni partitico-politiche e animaliste abbiamo spinto la politica a
scelte sbagliate. Infatti nessuno ha saputo centrare il vero problema, che è
poi il vero problema di tutti i Parchi italiani ormai “malati d’uomo”, ovvero
che già con l’approvazione della legge quadro 394 del 1991 (tutta di
ispirazione ambientalista) che avrebbe dovuto disciplinare l’istituzione delle
aree protette si è creato il vulnus che sta all’origine di quanto ogni estate
succede in tutti i nostri Parchi, ovvero l’assalto, praticamente indisciplinato
del turismo di massa; assalto peraltro non solo favorito, ma anche invogliato
dagli stessi enti gestori: l’aver creato quell’ibrido obbrobrioso tra un “vero”
Parco con finalità di conservazione ed un’area ricreativa, con l’inevitabile prevalenza
della seconda finalità sulla conservazione del bene Natura. Gli USA, che sono,
che piaccia o meno, la vera Nazione madre dell’Idea Parco, se ne sono ben
guardati, e sebbene queste istituzioni abbiano anche una funzione turistica,
hanno messo e continuano mettere paletti ovunque per controllare il turismo,
anche contro l’interesse turistico. Giustamente, ha recentemente tenuto saggiamente
e con buon senso a precisare un manager di uno di questi Parchi, che «ogni
iniziativa deve essere valutata affinché non interferisca con i processi
naturali, il
Servizio Parchi deve consentire i processi naturali e preservare i caratteri
della Wilderness, non le azioni umane». E per soddisfare il turismo hanno invece
creato altre forme di Parchi, le cosiddette Aree Ricreative e le Spiagge
Nazionali dove alla difesa del Bene Natura prevale invece l’interesse
turistico.
Il secondo errore, che è poi la madre di
tutti gli errori dei nostri Parchi, è la pretesa di imporre vincoli ai
detentori dei diritti privati (siano essi singoli o comunali, sia di uso e/o
costumanza sia di vera proprietà dei suoli) senza rimborsarli mediante
l’acquisizione dei terreni o la loro presa in gestione dietro congruo compenso:
si sperperano di milioni di euro in ricerche “ecologiche” di ogni tipo (spesso
inutili!) ed altrettanti e di più in progetti e finanziamento di iniziative
turistiche, per non dire in amministrazione (stipendi a non finire ed altre
amenità della classica burocrazia italiana – si pensi solo ai loro parchi
automezzi!) ma per legge non si trovano i soldi per conservare allo Stato (o
chi per esso) i beni pubblici che si vuole proteggere: in pratica si fa pagare
a pochi l’onere della tutela di beni che appartengono a TUTTA la collettività,
e si pretende di reiterare questa ingiustizia!
E allora ecco che i gestori devono per
forza essere di manica larga con gli abitanti locali ed i Comuni, ai quali
appartengono i suoli dei Parchi.
Il terzo errore, se così lo vogliamo
chiamare, ma sarebbe più giusto definirlo errata pianificazione della
cosiddetta “zonizzazione” che se pure prevede delle fasce a riserva integrale
ed altre a riserva generale, non prevede la designazione di Aree Wilderness
dove assolutamente il controllo turistico deve essere contingentato affinché
non vi si verifichino quegli affollamenti di cui si dice e dove a prevalere
debbano essere gli interessi del bene Natura e quello degli uomini che in
questo bene cercano non sfogo ludico-fisico o mera ricreazione fisica bensì la
solitudine ed il silenzio, che sono i beni caratteristici che anche un Parco
deve assicurare. Questo sì, applicabile mediante accordi e compromessi con i
Comuni, se si assicurano loro quei diritti legittimi che le comunità locali si
vedono lesi dai vincoli a loro imposti dai Parchi.
C’è poi un altro aspetto tipicamente
italiano ed europeo, ovvero quello di aver deciso di istituire Parchi enormi
pur non avendone, i territori, le caratteristiche; anche questo un vulnus
conseguente alla distorta visione di avere parchi ibridi con aree di
ricreazione, per cui si è giunti ad inserire nei Parchi anche vasti territori
urbanizzati e/o antropizzati e finanche paesi proprio per favorire il turismo,
ritenuto dal mondo politico e dai politici in genere il VERO bene primario di
un Parco (hanno istituito Parchi così come avrebbero creato un’industria:
ultimo esempio quello di Lampedusa!). Ovvero, per dirla tutta, Parchi troppo
grandi, che andrebbero ridotti all’osso e limitati alle vere aree naturali da
proteggere, sulle quali poi poter applicare quelle severe norme che invece oggi
si richiedono anche per aree che non lo meritano.
In poche parole, se il Gran Sasso
quest’estate è stato “assaltato” dalla gente (che lo ha poi vandalizzato come
si è detto) bisogna risalire alla matrice del male, e vano è criticare una
gestione che comunque la si attui, finirebbe sempre per scontrarsi con gli errori
che stanno all’origine dei nostri Parchi. Quando si dice “è il sistema che va
cambiato”! Infatti, la cosa grave è che anche nella recente ed ancora in
itinere revisione della citata legge 394/1991 nessuna delle due Camere
parlamentari ha previsto che si cambi questo stato di fatto! Purtroppo, si sa,
lo dice il proverbio, perseverare è diabolico! Perché? Semplice, cambiare il
sistema significherebbe due cose che gli ambientalisti italiani non accettano:
ridurre il numero dei Parchi e ridurre le loro estensioni alle aree che
realmente meritano di essere Parco. Ormai lo slogan creato per il “lupo delle
Alpi” che vale per gli orsi del Trentino vale anche per i Parchi: un Parco qualsiasi pur che sia Parco! Saremmo
capaci finanche di proporre all’UNESCO un Parco Nazionale Italia, se l’UNESCO
potesse assicurare alla politica un bel gettito di soldi da gestire: nessun
Partito di nessuna tendenza politica si tirerebbe indietro, né tanto meno gli
animal-ambientalisti nostrani!
E allora, eccoci
a piangere sull’estivo assalto al Gran Sasso! E piangeremo ancora a lungo fino
a che ambientalismo e politica non si decideranno a governare una seria
politica dei Parchi a difesa dei veri nostri patrimoni pubblici, con lo sguardo
rivolto all’odiata America anziché all’illusoria Europa, e un po’ meno ai soldi
e all’immediato e un po’ più alla Natura e alle generazioni future.
Murialdo, 20 Agosto
2017
Franco Zunino
Segretario Generale Associazione Italiana
Wilderness
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