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Natura e archeologia sul Pollino: Pietra Capanna e la Carta archeologica della Valle del Sinni. Intervista all’archeologo Vincenzo Tedesco.

Pietra Capanna -  by Indio

Grazie all’archeologo dott. Vincenzo Tedesco che ci ha fornito la documentazione relativa,  si è  appreso che su Pietra Capanna, in località Casa del Conte, esiste un importante sito archeologico. Come molti sapranno per questa località era in progetto l’installazione di un’opera dell’artista Nils Udo, consistente in cinque uova di pietra giganti, collocate sulla sommità di Pietra Capanna. Molti ambientalisti e appassionati del Pollino ritengono che questa località, per il suo alto valore naturalistico e paesaggistico debba essere tutelata da moderni progetti (seppure bollati come artistici) di invasione urbanistica; la scoperta di un sito archeologico, inoltre, rende ancora più prezioso questo sito: alla bellezza naturalistica di Pietra Capanna si aggiungono le suggestioni di arcaiche culture, che anticamente popolarono le valli del Pollino  Il valore paesaggistico del sito si fonde così con il suo valore storico-culturale: un duplice valore dunque, che va divulgato e conservato così com’è per le generazioni future.
Per avere qualche informazione in più non solo su Pietra Capanna, ma in generale sui dati archeologici delle valli lucane del Pollino, si è intervistato il già citato archeologo dott. Vincenzo Tedesco, laureato alla Sapienza di Roma con una tesi sulla civiltà rupestre della Valle del Mercure, e prossimo alla specializzazione presso la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici della stessa Università.
Vincenzo, intanto ti ringrazio in anticipo per le informazioni preziose che ci darai. L’archeologia è una materia complessa, e per i “non addetti ai lavori” risulta non sempre di facile comprensione. Credo che studiosi  come te siano indispensabili per accrescere tra la nostra gente la consapevolezza degli immensi beni archeologici,  storici e culturali del Pollino; tesori spesso dimenticati o trascurati,  e che dovrebbero invece essere studiati e tutelati, anche per la promozione di un “turismo culturale” di qualità nelle nostre valli e nei nostri paesini.
Per cominciare vorrei che tu ci offrissi una panoramica e una sintesi dei risultati dello studio di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli sugli insediamenti e i resti archeologici relativi alle località della Valle del Sinni e alla Valle del Sarmento.
“Negli anni che vanno dal 1996 al 2003  la cattedra di Topografia antica della Seconda Università di Napoli e la cattedra di Topografia dell’Italia antica dell’Università di Bologna, grazie all’affidamento da parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche, in accordo con il Ministero per i Beni e le attività culturali, sono stati impegnati nella realizzazione della Carta Archeologica della media e alta Valle del Sinni. Il territorio oggetto dell’indagine si estende dalla stretta del Sinni presso il comune di Valsinni, fino alle vette del Pollino e del monte Sirino, ai valichi di Frascineto sul Coscile e di Lauria sul Noce, per un totale di 750 kmq complessivi ricadenti in ben 31 territori comunali, divisi soprattutto tra le province di Potenza e di Matera. Una valle assai ampia e favorevole al popolamento, influenzata dalla presenza di due grossi centri, nella regione di foce del Sinni, come Siris ed Heraclea. Città che in antico hanno esercitato una grande forza economica e di acculturazione anche nelle vallate più interne sulle popolazioni indigene e italiche. La vallata, al momento della ricerca, si presentava arretrata nei processi di urbanizzazione e presentava aree ancora in larga parte integre dal punto di vista archeologico-monumentale, condizioni queste molto favorevole alla ricerca. L’obiettivo primario della ricerca è stato quello di realizzare un modello operativo finalizzato alla individuazione dei beni archeologici nel territorio e alla loro conoscenza, ma la novità più importante fu la realizzazione di una Carta Archeologica “nuova”, quindi non solo una sterile registrazione e catalogazione di beni, ma uno strumento per fornire una conoscenza capillare e sistematica del territorio. Lo studio, rivolto principalmente all’analisi delle fasi storiche che vanno dalla prima età del ferro alla tarda antichità, ma anche alle fasi precedenti e a quelle successive, ha  fornito una migliore conoscenza dell’evoluzione del territorio”.
Ci puoi illustrare brevemente il sito archeologico di Pietra Capanna (Timpa di Capalba nel testo citato)? A che età storica risalgono presumibilmente gli insediamenti e chi erano le popolazioni che edificarono quegli edifici?
“Il sito archeologico di Timpa di Capalba sorge sul lato meridionale della rupe omonima, a 1192 m s.l.m. Il luogo è caratterizzato dalla presenza di ambienti costruiti con muri a secco, addossati alla rupe. Questi resti sono stati interpretati, nello studio a cura di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, come pertinenti ad uno stazzo per bestiame. Proprio sotto queste strutture l’autore riconosceva altri muri, costruiti con pietre a secco. Muri che, al momento dell’indagine sul terreno, erano appena riconoscibili sull’interro e si presentavano costruiti con pietre montate a doppia cortina e andavano a chiudere un ambiente di forma rettangolare. L’ambiente aveva uno sviluppo 7 m di larghezza x 8 di lunghezza. Il piano davanti la costruzione, terrazzato, presentava le tracce di un ulteriore muro in massi con lo stesso orientamento dell’ambiente rettangolare. Il terreno, attorno all’ambiente rettangolare purtroppo pare aver restituito pochi frammenti ceramici. I dati a disposizione non permettono un’analisi completa ed esaustiva ma solo preliminare, anche se l’antichità degli ambienti sembra essere confermata dalla sequenza stratigrafica che vede lo stazzo sovrapporsi a quest’ultimi, quindi indicandone la certa anteriorità, e dall’ulteriore obliterazione di una frana. La frana infatti deve essersi verificata con molta probabilità in epoca remota. I muri, ritenuti dall’autore antichi, si sono conservati e resi oggi visibili probabilmente perché posti a riparo della rupe e sulla dorsale del terreno che le si addossa dal lato a monte, per cui questo suolo dovrebbe essere l’ultimo a subire sollecitazioni di scivolo verso valle. I materiali ceramici, che per gli studi archeologici rappresentano il “fossile guida” nel tentativo di fornire un inquadramento cronologico, ci permettono per il sito di Capalba di fornire una datazione riferibile ad epoca ellenistico-lucana, così come viene riportato nel testo”.
Mi ha colpito, sebbene da profano, la conclusione suggestiva a cui sono giunti il Quilici e la Quilici Gigli: ovvero che l’insediamento era probabilmente un luogo di culto. E’ un’ipotesi che aggiunge un tocco di fascino in più a questa località (del resto già nota per la sua bellezza paesaggistica e il suo valore geologico-naturalistico), e la circonda quasi di un’ aura di spiritualità… tu sei d’accordo con questa tesi?
“Nell’interpretazione funzionale di un sito bisogna prestare la massima cautela, tanto più in mancanza di indagini stratigrafiche sistematiche, con evidenze archeologiche poco visibili e resti ceramici poco numerosi. Comunque il sito, di sicuro valore storico archeologico, è meritevole a mio avviso di ulteriori approfondimenti per meglio comprendere le sue dimensioni, le sue caratteristiche strutturali e il suo ruolo nell’ambito territoriale analizzato. Le informazioni preziose raccolte dall’indagine in situ per la realizzazione della Carta Archeologica della Valle del Sinni, devono rappresentare il punto di partenza per ulteriori analisi, che un giorno magari permetteranno di portare alla luce una parte di storia ora custodita gelosamente dalla rupe di Capalba.”
Concludo con una domanda generica, sulla situazione degli studi archeologici nel versante lucano del Pollino. Secondo te c’è molto da fare ancora, quello che è stato fatto è sufficiente  e nel concreto cosa si potrebbe fare di più?
“Il nostro territorio presenta delle grandissime carenze conoscitive a fronte delle potenzialità che verosimilmente poteva offrire nell’antichità. Poche sono le analisi territoriali realizzate, quasi inesistenti le indagini archeologiche. Bisognerà impegnarsi molto affinché si sviluppi in primis una coscienza storica e culturale nelle istituzioni poste a tutela del territorio del Pollino, per poter poi dare il via ad uno studio scientifico e capillare di questa area. Nonostante ciò, comunque esistono dei lavori in itinere, anche chi scrive è impegnato nello studio di una parte di territorio compreso nel Parco Nazionale del Pollino. La speranza è quella che un giorno questi  studi possano contribuire a fare maggiore luce su questi luoghi e sui suoi beni da troppo tempo dimenticati e mai valorizzati”.                                                                                                                                                                             
Vincenzo,  ti ringrazio molto per le importanti informazioni che ci hai dato. Speriamo davvero che il paesaggio delle nostre valli, frutto spesso di un’unità tra “cultura” e “natura”, e con esso le testimonianze archeologiche delle civiltà del Mediterraneo,  siano davvero tutelati e contribuiscano alla promozione dello sviluppo socioeconomico e culturale delle popolazioni del Pollino.

Saverio De Marco (Associazione Italiana Wilderness)

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