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Parchi, cinghiali e comunità locali

cinghiale d'allevamento - foto by Indio

Ci sono state molte polemiche in questi giorni sul problema dei cinghiali e sono state dette molte cose su giornali e network, che a volte, ad avviso di chi scrive,  partono da punti di vista non sempre corretti: da una parte ci sono coloro i quali sostengono che la priorità dev’essere data all’uomo e non agli animali, dall’altra gli animalisti integerrimi preoccupati più del cinghiale che delle esigenze dei contadini; poi ancora posizioni che lasciano intendere che la tutela ambientale sia incompatibile con lo sviluppo socioeconomico rurale;  ancora ci sono le posizioni ambientaliste che sono coscienti del problema cinghiale, accusano i cacciatori di averlo provocato con le immissioni e considerano l’abbattimento e la caccia selettiva dei tabù, giudicandoli sbagliati sempre e comunque. Bisogna evidentemente affrontare il problema con serenità e razionalità, evitando di  perdersi in inutili polemiche.
Il problema a dir la verità,  è tentare di porre l’istanza del raggiungimento di  un’armonia tra le esigenze dell’uomo e quelle della natura; non di proporre una sterile contrapposizione dell’uomo all’animale o alla natura in quanto tali, come spesso si tende a fare… e magari anche  involontariamente. Ai fini  di questo obiettivo  non bisogna dimenticare le esigenze del contadino, il quale non dimentichiamolo, accetta tutti i vincoli del parco e perciò dev’essere tutelato quando questi stessi vincoli creano difficoltà al  suo lavoro. Se conveniamo che i prodotti tipici, l’agricoltura e l’allevamento sostenibili siano alla base dello sviluppo socioeconomico dei parchi, poi non dobbiamo essere  sordi verso le richieste di chi tra estreme rinunce continua a praticare un’agricoltura di qualità che, si badi bene,  è essa stessa parte del “sistema parco”: già, perchè in un parco, secondo la stessa concezione della normativa che lo ha istituito, l’uomo che là vive e lavora, è parte integrante del territorio e le attività tradizionali in esso non sono escluse. Natura selvaggia e “ruralità” cioè, non devono contrapporsi ma convivere, e uno sviluppo basato su agriturismo, agricoltura e allevamento tradizionali si concilia perfettamente  con le finalità di un  Parco.  L’importante è tentare di approntare serie politiche di gestione ambientale.
 E’ un bene per la tutela della stessa natura che i contadini esasperati dai cinghiali vengano ascoltati, oltre che dalle istituzioni, anche dalle stesse associazioni ambientaliste. Altrimenti, ne verrà fuori la solita contrapposizione tra l’ambientalista/animalista solitamente di  città che vede il parco come riserva integrale destinata agli animali (o come area di svago e di studio), e le popolazioni locali, le quali, pur “amando” i paesaggi e la natura della loro terra, allo stesso tempo devono far fronte a tutte le difficoltà che comporta vivere e lavorre in un paese di montagna (e chi scrive ne sa qualcosa venendo da una famiglia di contadini di un piccolo paese del Pollino).  Spopolamento, emigrazione, il bosco che invade gli antichi coltivi… e appunto, frotte di cinghiali che vagano indisturbati per case e campi… ecco la nostra situazione, e non è bella ma getta una luce di malinconia su questa nostra martoriata terra del sud. L’esasperazione dei contadini poi, oltre a causare gesti gravi e condannabili (com’è già successo) potrebbe anche essere strumentalizzata e favorire posizioni antiambientaliste, contrarie all’idea di parco e di protezione della natura e magari favorevoli a progetti speculativi di sfruttamento del nostro territorio. Non ascoltare le rischieste degli agricoltori  porterebbe ad accentuare l’esasperazione della gente, e i primi a pagarne le conseguenze sarebbero proprio gli ambientalisti, perché rischierebbero inevitabilmente di passare come  “nemici” della comunità locale. Come districare questa matassa? La soluzione più rapida e meno costosa è la drastica riduzione del numero dei cinghiali tramite misure di caccia selettiva (secondo le proposte del Segretario dell’AIW Zunino fatte nell’articolo apparso il 17 settembre sul Quotidiano) e come complemento, al limite, anche di catture; e ciò nel quadro anche del possibile sfruttamento economico del cinghiale, magari per la creazione di una filiera di prodotti tipici. Ridurre una popolazione faunistica in eccesso non è contrario alla “tutela ambientale”; a maggior ragione se gli esemplari di  quella popolazione sono degli ibridi o appartenenti a specie alloctone. Chi non vuole gli abbattimenti a priori è su posizioni “animaliste”, viziate di pregiudizi ideologici nei confronti della caccia… non certo “conservazioniste”.  In un Parco Nazionale è essenziale in primo luogo la tutela della “biodiversità originaria” (o almeno potenziale), ovvero di quelle specie esclusive che caratterizzano la fauna di un parco (ne sono un esempio per il Pollino la lontra, il lupo appenninico, il capriolo d’Orsomarso ecc.), non certo quella di cinghiali in sovranumero e per giunta ibridi! Inoltre, il compito di bioregolazione degli ecosistemi in questo caso non può essere affidato unicamente ai predatori. L’ ipotesi è che le attività umane, almeno in contesti altamente antropizzati come quelli dei parchi italiani, abbiano prodotto tali effetti sugli ecosistemi che l’uomo non potrà sempre “lasciar fare alla natura”,  soprattutto nel caso di specie invasive introdotte: sembra evidente ad esempio, che l’esigua popolazione di  lupi  non riesce a tenere sotto controllo la popolazione di cinghiali, sebbene i piccoli cinghiali sembrerebbe siano predati abitualmente dal lupo.  E’ sempre l’uomo a dover decidere della sorte della vita selvatica, sia quando egli salva una specie dall’estinzione che quando deve limitarne l’espansione! Come si vede le attività umane e la fauna selvatica sono concatenate tra di esse: i sistemi sociali producono effetti sui sistemi ambientali, che a loro volta producono effetti su quelli sociali.
Un’altra cosa fondamentale da affermare è questa: che anche i cacciatori debbono fare la loro parte ed evitare nuove immissioni di cinghiali. Alla gestione corretta della fauna selvatica e degli habitat cioè, è chiamato anche il mondo venatorio per il  quale  un’ importante prerogativa dovrebbe essere il mantenimento della “biodiversità originaria”, intendendo con questo termine la conservazione delle specie autoctone nei relativi habitat. Se anche i cacciatori non collaborano, non possono poi pretendere di essere ascoltati dagli ambientalisti; ma allo stesso tempo nemmeno si deve escludere il coinvolgimento dei cacciatori per principio, visto che possono dare un grande contributo sia nel caso degli abbattimenti che dei censimenti.
. Un’altra questione decisiva va affrontata: nei parchi convivono varie tipologie di aree, da quelle “wilderness”, ovvero quelle più integre naturalmente fino ad arrivare alle aree più antropizzate: ovvero quelle generalmente vicine ai paesi e costituite da sempre da pascoli e campi coltivati, che oggi sono sempre più invasi dalla vegetazione, dopo lo spopolamento e il declino di pastorizia e agricoltura. E’ ovvio che in queste ultime tipologie di territorio i vincoli debbano essere meno rigidi: nelle valli del Pollino attività come il pascolo, l’agricoltura e il taglio della legna per uso civico non devono essere ostacolate, e se i cinghiali son troppi e creano danni  all’agricoltura si deve procedere agli abbattimenti; nel caso delle zone A ad esempio, in genere la protezione dev’essere integrale  e certe attività umane devono invece essere efficacemente vietate e/o controllate.  La questione perciò riguarda la flessibilità delle politiche vincolistiche, avendo come riferimento la zonazione, dove a seconda dei casi alcune attività umane vengono consentite e altre no. E la questione a voler ben vedere riguarda tutte le attività, comprese quelle come il turismo, che nelle zone A rischia anch’esso, senza controlli, di produrre danni all’integrità naturale…
La salvaguardia della natura si fa anche con la partecipazione delle comunità locali, perchè sono i locali che possono diventare (dico “possono” perché ovviamente non è scontato come risultato), i migliori alleati degli ambientalisti e dei funzionari dei parchi…
Indio

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