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Dossier Orso Bruno Marsicano - Franco Zunino

Difendiamo l'orso da chi dice di amarlo!
Franco Zunino 
da: www.wilderness.it


Ancora un appello in difesa dell’Orso marsicano da parte di chi quest’animale per primo studiò in modo “scientifico” oltre quarant’anni or sono,

ed una critica, anch’essa ennesima, alla continua inerzia delle autorità tutte.

ENNESIMA ANALISI DEL PROBLEMA

Qualche anno fa ricevetti una lettera da una persona che si diceva un amico dell’orso, una persona (Marco Novelli) che poi finii per stimare per il suo impegno in difesa di questo animale, tanto più essendo egli originario di uno dei paesi del Parco. In quella lettera stavano però racchiusi tutti i problemi del perché l’Orso marsicano sia sempre più a rischio di estinzione. Eccola, leggermente adattata alla situazione di oggi:

«Il disturbo turistico non è il problema principale per l’orso, o meglio forse è quello che più facilmente può essere decisamente ridimensionato. Certo, ci vuole coraggio a impedire che anche d’estate la seggiovia di Pescasseroli sforni in quota pedoni pigri a ciclo continuo. Se si ritiene che in determinati periodi  si possano chiudere dei sentieri si può fare (come da qualche anno avviene per le creste Iorio-Tranquillo), il fenomeno turismo escursionistico (escluso magari ferragosto), se si volesse, e sarebbe controllabile. Nel passato le nostre montagne non erano meno frequentate, anzi! I miei antenati pastori e boscaioli non credo fossero più innocui dei pur insopportabili escursionisti. Sarò di parte, ma non vedo il turismo escursionistico come la più grande minaccia per l’orso. Mi preoccupa piuttosto lo sviluppo delle strade di penetrazione forestale, sempre più ampie e sempre più “trafficate” (non dai turisti!), mi preoccupa la banalizzazione delle sponde del lago di Barrea, il randagismo canino fuori controllo, il disinteresse e l’insofferenza di gran parte dei locali, gli incendi dolosi degli anni scorsi, la mancanza di sostegni economici per colture “a perdere”, il carico eccessivo di bestiame in alcune località, la leggerezza con la quale si ricorre al bracconaggio di rivalsa, la competizione spazio/alimentare con cervi e cinghiali ecc. ecc.. Mi rendo perfettamente conto, tuttavia, che non è semplice attuare misure di gestione per una specie vagabonda ed esigente quale è l’orso, anche nei parchi nazionali che ormai lo sostengono, perché nessuna categoria di fruitori vuole fare rinunce di sorta. Continuiamo a fare ricerca e poi ce li avvelenano incollarati e in pieno Parco!».

Sembrerebbe, questa, una tesi condivisibile. Peccato che sia vecchia forse quanto è vecchio il Parco Nazionale d’Abruzzo. Tutte motivazioni, salvo per alcune che dirò, che salvano la capra ma non i cavoli. Garantiscono tutti i diritti agli uomini, e specie agli uomini di città, i turisti, ma raramente quelli dell’Orso.

Un’analisi, quindi, affatto condivisibile. Essa è la stessa (di comodo) che tanti sostenevano quaranta e più anni fa (e sappiamo come è andata a finire: da oltre 100 orsi a non più di 40/50 circa, se tutto va bene), con tutte le ragioni citate, comprese quelle che sembrano arrecare danno all’orso ma che sono solo dei danni all’ambiente, e non certo le cose che fanno fuggire l’Orso dal Parco. Come ho avuto altre volte modo di scrivere, non sono state la speculazione edilizia o le sciovie a far fuggire l’Orso, ma il turismo escursionistico; il turismo di chi dice di amare l’orso e  che dice di amare le sue montagne, ma che pertanto non rinuncia o non vuole rinunciare a visitarle e ad incontrare l’orso.

Il fatto che un tempo ci fosse più gente di oggi in montagna è anche questa una vecchia diceria, che però non ha confronto con il turismo, dalla primavera all’autunno (ma anche all’inverno, in certi casi). I pastori, come i boscaioli, si facevano i fatti propri e per pochi mesi all’anno. I turisti invece vanno proprio a cercare l’orso, a “sfruculiare” nel suo mondo, a cercarne le tracce, a volerlo vedere e fotografare. C’è un abisso tra i due tipi di presenze. Meglio cento pastori che dieci turisti!

Le strade, sì, sono proprio quelle che favoriscono il turismo, perché non sono certo stati i bracconieri a distruggere l’orso; bracconieri che non ci sono mai stati, perché in tal caso lo avrebbero fatto estinguere cento e più anni fa (gli avvelenatori di orsi o il pastore che spara per difendere il suo gregge, non possono essere annoverati tra i bracconieri). La banalizzazione del Lago è una brutta realtà, ma, anche, non è questa che danneggia l’Orso: non sono gli sviluppi urbani ed antropici nelle vallate che disturbano l’orso: questi disturbano noi, caso mai, e rovinano lo scenario naturale in cui l’orso vive, e solo per questo andrebbero proibiti (come le centrali eoliche e fotovoltaiche che oggi quasi ogni Comune del Parco vorrebbe realizzare). Né sono i cani randagi a minacciare l’orso, e meno ancora gli incendi (che spesso creano biodiversità). Fino a quando puntiamo a sanare queste cose per salvare l’orso,  miglioreremo certamente il Parco, ma l’orso non lo salveremo mai.

E’ noto che gli escursionisti non si sentono in colpa: nessuno si sente in colpa, perché sentirsi in colpa significherebbe dover rinunciare ad andare a vedere l’orso e frequentare le sue montagne. E’ una posizione autoassolvente di molti. Specie dei naturalisti che per il proprio egoismo giustificano tutto. Ed è proprio questo il problema. Difende più l’orso chi da anni non lo va a cercare e si accontenta di saperlo vivere lassù tra le sue montagne e nei suoi boschi, che quelli che dicono di amarlo ma poi per soddisfare il loro amore egoistico gli vanno a rompere le scatole in ogni dove ed in ogni momento. Addirittura anche chi ne studia il comportamento e ne inventaria ogni luogo, ogni tana, ogni sito sensibile, con la giustificazione di una protezione che poi raramente viene applicata (perché se lo fosse, almeno avrebbe un senso fare tutto ciò) incide negativamente sulla sua vita. Negli anni è una giustificazione che ho sentito da tanti, troppi, amici e amanti dell’orso e delle montagne, amici che non vogliono rinunciare ai propri piaceri, e poi si chiedono (e mi chiedono) come mai l’orso le abbandoni!

Tutti cavillano per dimostrare di non averlo disturbato. Io sinceramente non me la sento di dire la stessa cosa nei passati casi del mio incontro con l’orso: il più delle volte per motivi poi peraltro rivelatisi un disturbo. Ora, se questo disturbo è solo occasionale, come poteva essere ai miei tempi, non è una grave cosa. Ma se questo disturbo si verifica spesso, come avviene oggi, che mi dicono esserci la fila a cercare di vedere l’orso, e in una valle e nell'altra, e da una montagna all’altra, ovvio che prima o poi l’orso si sposti fino a trovare luoghi dove nessuno lo disturbi: è così che si è verificato il fenomeno emigratorio-dispersivo.

Certe zone vanno chiuse a tutti, almeno in certe stagioni, non aperte a numero chiuso (per di più a pagamento, favorendo così solo i turisti benestanti!). In certe zone non deve andarci nessuno, neppure i guardaparco o gli scienziati, a meno che per ragioni motivate. Perché le montagne del Parco non sono così ampie e selvagge come sono spesso descritte: sono un piccolo eden. E in molti posti basta molto poco, anche una sola persona, per creare disturbo.

I cinghiali, ed i cervi? Ecco un problema reale. Belli da vedere per i turisti, animali da spettacolo lungo le strade, ma che da troppi anni si sono rivelati tra i maggiori depauperatori dell’habitat dell’orso senza che se ne proponga un ridimensionamento. Eppure proprio i cinghiali sono tra i maggiori competitori con l’orso, per il saccheggio metodico che fanno delle risorse di vita, specie quelle di cui un tempo l’Orso ricercava in autunno prima del letargo ed in primavera appena lasciava le tane d’inverno. Nonostante questo oggi è proibito uccidere il cinghiale anche fuori Parco!

La stessa piantagione di meli è una delle tante cose inutili fatte (più per soddisfare chi vuole contribuire a salvare l’orso che non per una reale necessità); perché nel Parco ci sono migliaia di alberi che producono mele (“ampiamente sufficienti ai quei pochi orsi rimasti”, dice l’ex Guardiaparco Lillino Finamore), e quelli piantati produrranno frutti, se mai lo faranno, tra decine di anni; cioè quando l’orso forse non ci sarà più. Sono queste le cose inutili che si fanno. Granoturco bisogna seminare, non piantare meli! E invece proprio quelli che oggi studiano l’orso ci vengono a dire che di queste coltivazioni l’orso non ha bisogno, scoprendo l’acqua calda delle ampie risorse alimentare naturali presenti nel Parco (cosa già da me segnalata quarant’anni or sono!), ignorando tutto l’aspetto comportamentale, quasi un imprinting, che caratterizza gli individui di questa popolazione, alcuni vecchi di decine di anni ed abituati a queste risorse “artificiali”, più gustose di quelle naturali, e più abbondanti.

Voler ricreare, con questo metodo, un orso “selvatico” in Abruzzo, come vorrebbero gli attuali studiosi, vorrà dire creare di fatto, come sta già avvenendo, la sindrome di Yellowstone, con orsi sempre più domestici, sempre più presenti nelle vicinanze dei paesi e nelle vallate agricole alla ricerca di cibo facile ed appetitoso, altro che renderli selvatici veri! 

I cani randagi? Un problema inesistente e ritenuto tale solo da chi capisce poco di comportamento animale. Per gli orsi i cani non sono altro che “lupi”; cioè animali del loro mondo, a cui sono abituati, anche se fuggono quando attaccati: li conoscono da centinaia se non migliaia di anni, come conoscono i pastori che se ne stanno accanto al gregge o vicini allo stazzo. Sono gli “uomini turisti” che gli orsi non conoscono, a cui non sono abituati da generazioni. I pastori hanno il pregio di portare le pecore, i turisti portano solo disturbo. E anche se ai turisti gli orsi si abituassero, essi (i turisti) non farebbero altro che creare un fenomeno di addomesticamento, quel fenomeno che non per nulla si è creato negli ultimi decenni, e mai si era verificato prima. “Ho visto gli orsi e pur avvertendo la nostra presenza non davano segni di disturbo”, dicono molto turisti. Ma è proprio così che si crea il fenomeno di addomesticamento! Nell’immenso Yellowstone, uno dei primi provvedimenti per salvare il Grizzly è stato quello di chiudere al turismo ampie aree selvagge da riserva solo a loro.

Laggiù ora gli orsi sono triplicati e li cacciano anche. Da noi (che non siamo certamente uno Yellowstone) si continua a cavillare per giustificare il nostro “diritto all’ambiente”, fregandosene del diritto degli orsi. Ecco perché, come ho già scritto altre volte: Dio salvi l’orso da chi dice di amarlo!


ANCORA E SEMPRE CONTEGGI E CENSIMENTI

Dopo decenni di indagini e ricerche durante i quali sono stati spesi, secondo una stima diffusa dal quotidiano La Repubblica, ben 12 milioni di euro! (ci si poteva comprare quasi tutto il Parco d’Abruzzo - perché questo avrebbero fatto gli americani se avessero potuto decidere loro come spendere tutti quei soldi!) può sembrare una buona notizia quella data quest’anno dalla Presidenza del Parco, sulla decisione di bloccare le attività di cattura degli Orsi bruni marsicani; catture che sono durate anni e che hanno lasciato molti dubbi sulla loro effettiva utilità ai fini della conservazione della popolazione (e anche qualche strascico mai ben chiarito in merito al fenomeno dell’addomesticamento di sempre nuovi individui e sulla presenza di orsi menomati), se non per un più accurato censimento. Quarant’anni di tentativi di censimento che hanno caratterizzato le ricerche, iniziate nel 1970 e non ancora concluse. Ci si chiede mai che senso abbiano questi infiniti censimenti? Che senso abbia dire oggi che abbiamo solo più 40 orsi, se poi non si fa niente per impedire che diminuiscano ancora? Tra vent’anni ci sarà chi parteciperà ai censimenti per stabilire che gli orsi sono solo più 20! Quarant’anni di censimenti durante i quali si è passati dagli oltre 100 individui stimati nel 1970 nella zona del Parco e sue strette vicinanze, ai forse meno di 40 individui stimati oggi secondo le ultime notizie, e distribuiti su gran parte dell’Appennino centrale. Addirittura, secondo gli studi recenti, oggi si vorrebbe far credere che la sostenibilità ottimale sia di soli 50 orsi nel Parco Nazionale d’Abruzzo e suoi dintorni; un’indicazione che sembra voler trasformare in vittoria una sconfitta, se teniamo presente che fino a quarant’anni fa nel Parco e sue zone circostanti di orsi ne vivevano oltre 100.

In realtà la situazione è ancora lungi dal permetterci di tirare un sospiro di sollievo, in quanto nessuna ripresa di crescita è stata ancora registrata, se non la buona (ma non eccezionale) nascita di 10 piccoli nel 2008 e di 6 nel 2009. Tutti si erano illusi che ciò fosse segno di una ripresa, quando in realtà rientrava solo nella norma, con una natalità variabile di anno in anno come sempre avviene in natura tra le popolazioni d’animali (ma anche in campo vegetale). Tutti illusi che quei 16 cuccioli (ma ora il Parco parla di 22 piccoli negli ultimi 3 anni) sarebbero giunti all’età adulta, quando è notorio l’alto tasso di mortalità giovanile di questa specie, a fronte del basso indice di natalità. Infatti, di essi forse solo la metà, o anche meno, giungeranno all’età adulta; ignorando, poi, la naturale (ma anche incidentale) mortalità di individui già adulti.

Bene hanno quindi fatto le autorità del Parco a porre fine alle inutili e pericolose catture (nel Parco oggi vagano orsi senza una delle zampe anteriori!). Il problema è che si fermano le catture, ma non le ricerche (che dureranno almeno fino a quando dureranno le batterie degli orsi muniti di radiocollari, che immaginiamo di lunga, lunga durata visti i nuovi sistemi di accumulatori se non addirittura autoricaricantisi con energia solare!), per le quali i soldi si trovano sempre, mentre sempre scarseggiano per i provvedimenti concreti. Si fermano le catture, ma continuano le ricerche e, cosa grave, non si sono mai smantellati i tanti “recinti di cattura” realizzati in varie zone del Parco, vere e proprie alterazioni ambientali che in un Parco Nazionale avrebbero dovuto essere soggette a ripristini immediati.

Ora è tempo di agire (da quarant’anni si attende questo momento!), e ci auguriamo che le autorità del Parco, dietro suggerimento degli studiosi, possano finalmente prendere quei provvedimenti ritenuti necessari per far crescere la popolazione, sperando che riguardino l’incremento delle fonti alimentari “antropiche” (colture e pastorizia a perdere) ed un controllo ancora più severo del turismo, che preveda grandi aree naturali da riservare all’orso (e non già le chiusure con ... accesso a fronte di lauti pagamenti!); e le solite richieste di ampliamento del Parco Nazionale solo per poter chiudere alla caccia ancora altri territori, territori che il Parco però non sembra poi essere altrettanto interessato a salvaguardare dai tanti progetti di centrali eoliche e fotovoltaiche che li stanno minacciando. In fondo gli impegni presi col PATOM dovevano essere volti alla difesa dell’orso bruno e del suo habitat, non solamente allo studio della sua ormai arcinota bioetologia ed alla lotta ai cacciatori, perché, da tutte le autorità, dal mondo cosiddetto scientifico al movimento ambientalista, sempre è solo di ampliamento del Parco e di chiusura della caccia si sente parlare, come soluzione atta a far aumentare la popolazione di questo animale, mentre le stesse autorità ed il mondo scientifico ritengono inutili iniziative ovvie come la ripresa delle coltivazioni o l’incremento della pastorizia ovina, un severo controllo del turistico escursionistico, una preservazione dell’habitat sempre più eroso da progetti di “consumo del territorio”, una drastica riduzione dei competitori alimentari quali sono i cinghiali (ma anche disturbatori ambientali, quale è il cervo), una incentivazione dell’allevamento ovino ed una riduzione di quello bovino ed equino quasi estraneo all’antico mondo pastorale dell’Abruzzo (e comunque con un pronto ed equo indennizzo dei danni, che invece è tale solo sulla carta). Sempre con il solito unico nemico da abbattere: il cacciatore! E sempre lì a censire, a vista o col DNA: come se il contare gli orsi servisse a far crescere la popolazione!


INDENNIZZIAMO I PASTORI E GLI ALLEVATORI

Le leggi per indennizzare i pastori e gli allevatori in genere dei danni che subiscono a causa della predazione di lupi ed orsi sono ormai vecchie di decenni. Quando furono approvate sembrò un successo, la soluzione dei conflittuali problemi che da sempre avevano diviso il mondo rurale della montagna appenninica da quello ambientalista di città, strenuo difensore di orsi e lupi e della fauna selvatica in genere. Purtroppo queste leggi hanno solo alleviato il problema, perché ci ha poi pensato la burocrazia a complicare le cose, rallentando le pratiche per ottenere i risarcimenti, consentendo un cavillare che ha spesso impedito un pronto intervento e, soprattutto, un equo rimborso dei danni subiti. Difatti, le leggi non prevedono mai i danni indiretti (esempio, la perdita di agnelli per armenti gravidi o la mancata crescita di agnelli e vitelli; per non parlare del danno affettivo, che spesso esiste anche se molti si fanno un risolino al sentirlo così definire!), né un danno da conteggiarsi secondo il reale prezzo di mercato.

Ma questo sarebbe il meno. Il problema è che spesso, per varie ragioni (ed è il caso, qui, di dire, di “lana caprina”), non tutti i danni sono indennizzati; poi ci sono i ritardi dei pagamenti, ritardi che diventano insopportabili per pastori ed allevatori che si ritengono ingiustamente danneggiati.

In Abruzzo e nel Lazio è recente la protesta, quasi un “gridare nel deserto”, di allevatori che hanno subito danni di decine di capi sbranati da lupi ed orsi e che per ignote ragioni (almeno all’opinione pubblica) non sono stati indennizzati. E’ recente la protesta di allevatori che lamentano addirittura anche il ritardo dei sopralluoghi da parte degli agenti preposti (veterinari, guardaparco e guardie forestali), con esposti finanche all’autorità giudiziaria a tutela dei loro diritti. Vero è che spesso questi allevatori non possono propriamente dirsi rigidi sul rispetto delle regolamentazioni ambientali in merito all’uso dei pascoli loro assegnati; forse è anche vero che in alcuni casi non di lupi ed orsi si tratti, ma di cani malnutriti o ipotetici “randagi o inselvatichiti”. Ma se non si vorrà presto leggere di nuove notizie di orsi e lupi avvelenati od impallinati è necessario che le autorità: mettano da parte le loro remore sull’indennizzare o meno un certo danno solo per i dubbi in merito all’animale predatore che lo ha causato o per altre ragioni; provvedano severamente a disciplinare il pascolo almeno nelle aree protette, possibilmente favorendo quello ovino (magari con incentivi) a quello equino e bovino, più impattante sull’ambiente e di minore utilità trofica per la fauna selvatica; puniscano severamente chi non rispetta le regole, ma anche rimborsino immediatamente e completamente i danni a chi li subisce.

Ritardare i sopralluoghi quando sono prontamente segnalate le uccisioni di capi di bestiame, cavillare sul fatto se trattasi o meno di lupo o di cane o se si poteva o meno pascolare in certe aree è un modo perfetto per incattivire persone già predisposte a difendere i loro armenti con propri mezzi. Ed incattivire e rendere nemico dichiarato di lupi ed orsi un allevatore è il miglior modo per spingerlo ad atti di autodifesa di propri diritti ed interessi; atti che rischiano di portare all’estinzione se non il lupo, almeno l’orso marsicano. Poi sarà solo inutile, di scarsa soddisfazione e costoso, dargli la caccia giudiziaria!

I pastori e gli allevatori possono essere i migliori amici di lupi ed orsi, ma anche possono trasformarsi nei loro peggiori nemici, come si è già visto nel recente passato. Pensare solo a punire i colpevoli di misfatti dopo che questi si sono verificati serve a poco ed ha dei costi non indifferenti; soprattutto oggi che anche la sola perdita di un individuo di orso bruno marsicano mette a rischio la sopravvivenza dell’intera popolazione. Indennizzare sempre e comunque i pastori e gli allevatori per i danni che denunciano, saldando loro il prezzo reale di queste perdite è il migliore modo per ridurre quella di orsi e di lupi. Un modo anche per preservare una ruralità che sta sempre più sparendo, a danno anche della biodiversità dell’Appennino. Far divenire i pastori i migliori amici dell’orso è anche un metodo per salvarlo. Non pagare la perdita di un capo per controversie in merito sul chi lo abbia ucciso, pagare male e/o pagare in ritardo i danni subiti da un allevatore è come non pagare; perché non si allevia la sua rabbia né l’istinto di rivalsa verso gli animali predatori.


UNA SCONFITTA FATTA PASSARE PER UN SUCCESSO

Ormai ogni anno siamo rassegnati (noi ambientalisti) alle notizie in merito alla presenza di orsi sempre più addomesticati, sempre meno timorosi della presenza dell’uomo. Una sconfitta per chi ha veramente a cuore la sopravvivenza della residua popolazione abruzzese della specie Orso bruno, ma una sconfitta che molti considerano un successo, per l’attrazione turistica che questi orsi suscitano.

Addirittura una sconfitta per quei ricercatori che sognano di “rinselvatichire” tutti gli orsi del Parco Nazionale d’Abruzzo “sottraendo” loro coltivazioni e greggi di pecore. Sì, è proprio così, mentre il movimento Wilderness sta cercando di far riprendere la coltivazione di campi di granoturco in alcune zone marginali dell’habitat di questa specie (in qualche caso anche con l’aiuto dell’Ente Parco), gli studiosi sognano di far ritornare alla natura selvaggia gli orsi del Parco, potendo disporre, questi animali, di una grande quantità di risorse alimentari naturali (cosa che lo scrivente già segnalò 40 anni or sono, ma convinto anche dell’importanza di continuare a lasciare agli orsi campi di granoturco e pecore, risorse “artificiali” alle quali essi sono abituati da migliaia di anni). Ora siamo noi a dirlo: siamo in Abruzzo, non nello Yellowstone!

Quest’anno nel volgere di poco meno di un mese, cinque sono state le notizie andate sulla stampa locale ed anche nazionale, di questi orsi domestici (“problematici” li definiscono gli studiosi, i quali sembrano non porsi il problema del come mai siano divenuti tali!), prima a S. Sebastiano di Bisegna, poi in Valle di Rio del Comune di Alvito, poi ancora nella solita Scanno abruzzese (con servizi andati in onda anche su canali TV nazionali), un altro a S. Donato Val Comino e Settefrati, un quarto a Campoli Appennino, sempre nel frusinate, ed infine a Civitella Alfedena in Abruzzo. Tutti articoli e notizie laudative, volte ad evidenziare l’aspetto turistico in una luce animalistica, quella dell’orso buono, “concittadino per abitudine”, come ne ha scritto un giornale, che va a mangiare sotto casa dove ogni sera qualcuno gli prepara “una sorta di banchetto”!

E’ così che porteremo all’estinzione questa popolazione di animali selvatici, in parte uccidendoli per rivalsa a causa di danni non indennizzati, o non indennizzati equamente, in parte rendendo individui sempre più domestici, per cui alle vallate e foreste del Parco stanno sempre più preferendo quelle affatto selvatiche del Frusinate o del Fucino, dove ancora l’agricoltura e florida, quindi mettendoli anche a rischio di incontri notturni con malintenzionati, o di collisioni con automobili.

Chi non ricorda le lodi per questi addomesticamenti proferite dall’allora Presidente del Parco Fulco Pratesi? Si era all’inizio di questo processo. Le autorità avrebbero dovuto capire che si trattava di un segnale d’allarme negativo; invece si intestardirono a consideralo un utile balocco per turisti, pensando solo a proseguire gli ennesimi conteggi e gli ormai inutili studi di biologia, senza nulla fare di serio per invertire quella tendenza negativa. Sono trascorsi altri anni e tre orsi “problematici” sono stati sottratti al loro mondo selvaggio e rinchiusi in inutile cattività; e non sembra che le cose siano molto cambiate.

Si rassegnino gli ambientalisti, le genti d’Abruzzo, del Lazio e del Molise, presto leggeremo sui giornali della morte dell’ultimo orso marsicano. Poi qualcuno si chiederà, e ci dirà: come è stato possibile sterminare un’animale tanto pacioccone e domestico?!


INFINE, UNA BUONA NOTIZIA

L’estate scorsa è stato con vero piacere che molti hanno ricevuto un comunicato stampa della Presidenza del Parco Nazionale d’Abruzzo, un comunicato apprezzato e che condivido nella totalità del suo contenuto, lieto finalmente di vedere le autorità muoversi con convinzione per cercare di mantenere un poco di quiete a questo splendido animale.

Con la confortevole notizia dell’avvistamento di ben 10 orsi nella zona dei ramneti, un numero che ricorda gli avvistamenti dei primi decenni del secolo scorso, e che mi auguro sia foriero di una reale crescita della popolazione dopo un declino che dura da decenni, anche se non va nascosto il fatto che una tale alta presenza è certamente segno di un’alta frequentazione di persone dalle quali sono venute le segnalazioni, siano essi dipendenti del Parco o semplici turisti (ed è notorio che più persone riescono a censire il territorio più alta è la possibilità di osservazioni). Bene ha comunque fatto la Presidenza del Parco a ricordare a tutti che esiste un’ordinanza che se non vieta del tutto (come sarebbe il caso e come da decenni avviene - severamente applicata - nella Mission Mountains Tribal Wilderness Area da parte dei nativi americani delle tribù Salish e Kootenai), almeno limita il libero accesso alle zone delicate per quest'animale.

E particolarmente piacere mi ha anche fatto l’ultimo ammonimento del Presidente Giuseppe Rossi: dobbiamo cominciare a pensare che ci si debba accontentare dell’idea che l’orso esiste anche se non lo possiamo vedere; un pensiero che ci dovrebbe allietare a prescindere dal suo avvistamento, che è un diritto non più consentibile a tutti, se non, appunto, nell’ideale pensiero di una consapevolezza della sua esistenza là, nelle sue montagne, da mantenere le più selvagge possibile. Nelle autorità deve quindi farsi strada l’idea di Aree Wilderness, perché è in questa forma di conservazione del territorio e dell’ambiente che è racchiuso il concetto di un controllo e di una limitazione alle presenze nelle aree più selvagge dei Parchi di tutto il mondo.

L’orso bruno marsicano è anche una risorsa turistica; ma lo è preservando l’idea della sua esistenza tra quei monti ed in quelle foreste, non trasformandolo in un animale da baraccone che per forza tutti devono vedere. Diritto di tutti è preservarlo selvaggio, non osservarlo, magari addomesticato a razzolare nei cortili o, peggio, attorno ai bidoni di rifiuti dei paesi e dei centri turistici del Parco!

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