COMUNICATO STAMPA
IL RANDAGISMO NEL PARCO D’ABRUZZO
COMMENTO AL RISULTATI DI UNA RICERCA
Nei giorni scorsi è circolata in Internet la relazione su di una ricerca sul randagismo nell’area del Parco Nazionale d’Abruzzo, redatta dai tecnici dell’Ente Parco; ricerca scaturita, abbiamo ragione di credere, dal noto evento dell’Orsa con piccoli aggredita da un branco di cani nel dicembre scorso nella valle del Sagittario (Comune di Villalago), ai margini del Parco Nazionale.
Una relazione ineccepibile, essendo basata su dati d’archivio ufficiali in merito ai danni agli allevatori rimborsati nel periodo 2004-2009, ma anche una relazione inficiata da una premessa fondamentale, premessa che non possiamo che considerare “politica”, nel senso di tutela della politica dell’Ente Parco, e che qui riportiamo: “Dall’analisi dei dati relativi agli indennizzi concessi dall’Ente Parco agli allevatori negli anni passati, emerge chiaramente un incremento esponenziale delle somme erogate; tale tendenza non è accompagna né da incremento della consistenza numerica dei predatori selvatici (lupo essenzialmente), né da un aumento dei domestici nella composizione della dieta dei predatori, come risulta dall’analisi degli escrementi del lupo, dalla quale risulta che i domestici compaiono con percentuali relativamente basse”.
E’ difatti notorio a tutti quanti si occupano di fauna selvatica che almeno la presenza del Lupo sia stata in continuo aumento, tanto che lo stesso Ente Parco ha ancora lo scorso anno riportato di 60 lupi nell’area del Parco (contro la decina, sì e no) del 1970. Sessanta Lupi che, per chi è a conoscenza dell’impatto predatorio di questi animali, non è cosa da sottovalutarsi, e rende ben comprensibile l’aumento esponenziale dei danni agli armenti domestici, essendo essi, nonostante l’aumentata presenza di cervi e cinghiali, sempre e comunque il punto più debole della catena alimentare. E ciò non concorda, ed è anzi in antitesi, con i risultati della ricerca!
Per quanto riguarda la presenza dei cani randagi o inselvatichiti, almeno lo scrivente può dichiarare che in trent’anni di assidua frequentazione delle montagne del Parco solo in 2 (due!) casi ha osservato cani in situazioni tali da poterli definire cani randagi o “inselvatichiti”. Nelle stesse relazioni del servizio di sorveglianza del Parco non credo esistano molte segnalazione di questi cani, che all’epoca della mia presenza nel Parco mai si parlava, perché mai ne venivano avvistati. E non c’è ragione di credere che dopo quell’epoca vi sia stato un boom di questi animali!
Non è con queste premesse che si fa chiarezza sul problema del rapporto tra Parco ed allevatori. Non è negando certe realtà per comodo e difesa “di principio” della fauna predatoria del Parco che si difende questa fauna. La verità dei fatti deve essere alla base di ogni ricerca seria, altrimenti essa risulta sempre alterata dal semplice dato di partenza, che ne altera tutti gli altri, e quindi inficia tutta la ricerca. Una ricerca del genere per avere credibilità andava innanzi tutto fatta da persone super-partes e, in ogni modo, anche se dovesse risultare veritiera, per i gestori di un Parco Nazionale dovrebbe sempre valere il principio che non è risparmiando sui rimborsi che si salvano orso, lupi ed altri predatori, ma pagando SEMPRE E COMUNQUE i danni segnalati, che siano essi stati arrecati da orsi e lupi o da cani; perché questi rimborsi, ancorché “gonfiati” in taluni casi, devono essere visti come contribuzioni a favore di un’attività fondamentale per la sopravvivenza dei predatori e per il mantenimento della biodiversità dei pascoli e delle foreste del Parco. Pretendere che siano essi (gli allevatori ed i pastori) a “pagare” di fatto per questi mantenimenti non sarebbe solo scorretto, sarebbe anche antidemocratico ed illiberale.
Murialdo, 15 Gennaio 2011 IL SEGRETARIO GENERALE
F.to Franco Zunino
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