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Incendi al Pollino: la posizione dell'AIW



Incendi al Pollino: La posizione dell’AIW


Sul finire dello scorso mese di luglio un vasto incendio ha interessato le pendici meridionali del Pollinello e della Serra del Dolcedorme, versante calabrese del Parco Nazionale del Pollino. Su questo incendio sono state scritte tante cose, riflessioni, analisi tecniche o di esperti, anche vibrate proteste rivolte agli amministratori del Parco. Fin dall’inizio la scrivente Associazione non ha preso posizione, e magari il fatto può avere anche destato qualche meraviglia. Oggi, ad incendio spento, con questo comunicato l’AIW ritiene infine di intervenire con una sua analisi del fenomeno.

Innanzi tutto si tiene a rimarcare quello che è l’assioma che compendia il problema degli incendi nel proprio “Documento per una strategia antincendio”. Ovverosia, che la prima regola dovrebbe essere quella di smetterla con l’enfatizzare il danno degli incendi, come se il fuoco non facesse parte del ciclo della natura e delle cause che regolano la vita in tutto il pianeta e che, entro certi limiti, va considerato non un fatto che devasta la biodiversità, ma che bensì la crea o la mantiene. Vi sono esempi eclatanti nella storia delle aree protette mondiali che dimostrano quello che a noi italiani può sembrare un’assurdità. Ne citiamo alcuni a noi ben noti. Uno, la scoperta che le grandi praterie nordamericane non sono affatto di origini naturali come si era creduto, bensì create e poi mantenutesi grazie agli incendi provocati dai nativi. Due, la scoperta che senza gli incendi molte specie si estinguerebbero, ed una di questa è la Sequoia gigante (i cui boschi vengono addirittura appositamente incendiati dai gestori delle aree protette per consentire il ciclo delle nuove pianticelle!). Tre, che il grande incendio del Parco Nazionale di Yellowstone del 1987 (le foreste bruciano per diversi mesi!) erano un fenomeno naturale che la natura provvedeva ad innescare ogni due o trecento anni trasformando ogni volta lo spettro vegetazionale; cosa che anche nel 1987 ha incredibilmente favorito la biodiversità (prima dell’incendio le foreste avevano conformazioni quasi monospecifiche, anche a causa o grazie ai pronti interventi antincendio cui provvedeva il Parco).

Con ciò non vogliamo dire che l’incendio del Pollino sia stato un bene (l’Italia è povera di foreste, ed è bene che non ci si mettano anche gli incendi a fare concorrenza all’uomo!). Ovviamente meglio sarebbe stato se non si fosse mai verificato, soprattutto per il danno che ha arrecato (forse più ai centenari Pini neri autoctoni che non al Pino loricato), ma certamente i danni sono stati inferiori a quanto si poteva immaginare osservando lo scenario fumoso della montagna sotto incendio (un effetto visivo abbastanza noto, che sempre si ridimensiona ad incendio spento), innanzi tutto perché ha percorso in gran parte aree che già in passato erano state interessate dallo stesso fenomeno (è un classico nella gran parte degli incendi del nostro Paese, sebbene poi giornalisticamente gli ettari siano poi esagerati e spesso sommati in sovrapposizione di anno in anno!).

Una cosa sembra certa: ovvero, che questa volta l’amministrazione del Parco non centri nulla o molto poco (ben altre sono, caso mai, le colpe da addossargli!). Caso mai si dovrebbe cercare di capire perché con tutti i servizi e gli apparati antincendio presenti nel Sud Italia, questi si siano mossi con tanto ritardo e con dubbie tecniche di intervento, quando è notorio che gli incendi vanno spenti nel più breve tempo possibile dal momento che sono segnalati; e questa volta l’incendio era addirittura partito ben lungi dalle falde del Pollino (addirittura ha dovuto prima superare l’Autostrada del Sole!). Un ritardo che non si spiega, anche in considerazione al fatto che si pensava che nel Sud il Pollino fosse al vertice delle aree primarie da difendere da potenziali incendi (il Pino loricato è una specie di albero resinoso – quindi ad alto rischio di incendio – unica al mondo!). Ma su quest’aspetto, come sulle ragioni del perché l’incendio sia stato innescato e da chi e per quali ragioni provvederanno a fare chiarezza le inchieste che sicuramente saranno state aperte dalle autorità competenti.

Una cosa teniamo a precisare, visto quanto si è letto da alcune parti in merito a dichiarazioni di autorità sui provvedimenti da prendere per impedire futuri incendi. Provvedimenti riguardanti la “pulizia del sottobosco” e addirittura la “manutenzione dei corsi d’acqua” (che centrano con gli incendi?) ed altre opere similari, magari anche strade antincendio (Dio non voglia!). Ovvero, tutte opere costose ed inutili e addirittura a danno della biodiversità che si pretenderebbe di tutelare (perché la primaria presenza di biodiversità di una foresta si ottiene e preserva lasciandola al suo sviluppo naturale, il che significa senza o con scarsi interventi dell’uomo). Ma, al solito, forse i suddetti provvedimenti piacciono perché permettono di mettere in circolo filiere di...euro!

In realtà l’unico provvedimento veramente di prevenzione antincendio è costituito dal provvedere ad un volontariato rurale, ovvero incaricando del controllo e della pronta segnalazione i contadini ed i pastori che vivono su quelle aree, compensandoli con premi in danaro per il loro impegno. Un metodo che è illustrato nel Documento dell’AIW visionabile nella pagina degli ATTI del nostro sito Internet (www.wilderness.it), e di cui lo stesso Ministero dell’Ambiente è al corrente avendo qualche anno fa ricevuta una specifica proposta “pilota” da parte della scrivente Associazione (relativa a due zone montane della Provincia di Caserta). Lo Stato spenderebbe pochissimo a fronte del costo delle ore di volo di elicotteri ed aerei, con una altissimo indice di successo per ovvie ragioni di interesse economico da parte di chi sarà incaricato della sorveglianza.

Uno studio americano ha recentemente dimostrato come la ripulitura delle zone percorse da incendio più che favorire le foreste le danneggia e che le zone boschive percorse da incendi lasciate a se stesse “hanno una migliore capacità di ripresa ed autorimboschimento che non quelle trattate dall’uomo”. In quelle trattate dall’uomo addirittura la ripresa vegetativa si era ridotta del 71%! Questo lo diciamo a futura memoria, prevedendo altri progetti (leggasi finanziamenti!) che, l’esperienza ci insegna, finiranno per rivelarsi più dannosi che utili alla conservazione della bellezza e dei valori del Pollino.

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